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Channel: Coaching – Mario Alberto Catarozzo – Coach e Formatore Milano

Solo buoni propositi o voglia di felicità?

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Tra vent’anni sarai più infastidito dalle cose che non hai fatto che da quelle che hai fatto – Mark Twain

Partiamo da qui in occasione del primo giorno del nuovo anno. Il 2018 potrebbe essere un anno come tutti gli altri, oppure peggiore, ma potrebbe essere un anno pieno di soddisfazioni dove realizzare progetti e desideri. Perché ciò avvenga è necessario innanzitutto avere consapevolezza di ciò che per ciascuno di noi merita sacrificio e poi è necessario fare un piano d’azione.

Senza questi due passaggi fondamentali non si ha per nulla il timone in mano e si va dove il caso ci porterà giorno per giorno. Come una barca va dove c’è acqua, noi andremo dove il vento del caso ci porterà di giorno in giorno. Se riusciremo a realizzare cose che ci piacciono non sarà stato frutto di un progetto, ma del caso, anche se sostenuto dalla fatica (spesso tanta).

Altra conseguenza è che senza chiarezza e progettualità non potremo nutrire neppure l’autostima, perché non avremo la sensazione di poter ripetere quanto fatto ogni qual volta fosse necessario.

Ciò che conta di più del risultato è la consapevolezza di avere la capacità di saperlo raggiungere ogni qual volta lo si vuole. Altrimenti, paradossalmente, ci sentiremo ancora più precari e insicuri, perché sentiremo di non avere il controllo (per quanto ciò sia possibile) delle nostre scelte e della nostra vita più in generale.

Come terzo passaggio, per essere sicuri di non ripetere vecchi errori, provate a prendere penna e carta e a scrivere tutto ciò che nel nuovo anno potreste fare e pensare per rovinare tutto, per peggiorare le cose, per essere sicuri di non raggiungere i risultati a cui tenete. Per esempio, potreste scrivere “se volessi intenzionalmente impedirmi di raggiungere quel risultato (scrivete il risultato) potrei: assumere di fretta i futuri collaboratori senza verificare le competenze; procedere a caso giorno per giorno senza un progetto e un programma; disinteressarmi dei risultati cammin facendo…” e così via.

Saprete in questo modo cosa non fare e, a contrario, cosa fare per ottenere i risultati voluti.

Ovviamente, alla base di tutto ci dev’essere la reale volontà di raggiungere quei risultati e la determinazione che permetterà di superare le sconfitte e gli errori che statisticamente si frapporranno tra noi e il risultato.

Il 2018 è tutto da scrivere e dipende da noi più di quanto pensiamo.

Buon 2018 a tutti i lettori, clienti, amici, colleghi!

Mario Alberto Catarozzo

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Molto più di una Scuola di Coaching

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Aprire una scuola di coaching qualche anno fa è stata una bella sfida. Marco Angeletti e Alessandra Abbattista, non a caso marito e moglie, l’hanno colta. Da allora non ci siamo più fermati, in un connubio a tre fantastico, coinvolti con entusiasmo dall’idea di lasciare il segno nella vita delle persone. Questo è ciò che oggi cerchiamo di fare. Non è la nostra una scuola nel senso tradizionale del termine, con i banchi al di là dei quali c’è qualcuno che insegna e al di qua qualcuno che impara. La nostra è una dimensione prima di tutto. Non si può fare il coach, si diventa. E prima si diventa coach come attitudine, come mentalità, e poi come lavoro. Molti dei nostri partecipanti, avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro, manager, imprenditori non faranno i coach come professione, perché il loro obiettivo è diventare coach per poter fare meglio la professione che già hanno intrapreso.

Nella nostra scuola condividiamo esperienze, percorsi, emozioni, voglia di crescere, di confrontarsi, di conoscere.

Non avrei mai immaginatoracconta Sonia Spagnol, responsabile comunicazione di uno studio fiscale e legale internazionale, che ha partecipato al corso 2016-2017che il coaching potesse avere un impatto così forte sulla mia vita. Sia personale che lavorativa. Durante lezioni intense e ricchissime, Alessandra, Marco e Mario hanno saputo tirare fuori il meglio di me, trasmettendomi strumenti che quotidianamente applico per rapportarmi con i colleghi, per prendere decisioni importanti, per valutare avvenimenti che mi toccano da vicino. Il mio approccio alla vita è cambiato: il percorso nella scuola di coaching ha dato il là a una crescita personale che sono certa non si arresterà con la fine del corso. È stato innescato un circolo virtuoso di evoluzione e potenziamento delle mie capacità e delle mie attitudini. E nel mio lavoro sto già utilizzando quanto appreso, aiutando i professionisti dello studio a focalizzarsi maggiormente sugli obiettivi e a prendere consapevolezza dei propri talenti e delle potenzialità ancora inespresse.

Cerchiamo, con la nostra passione e amore per ciò che facciamo, di applicare quanto Plutarco ha insegnato: “La mente non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere”.

Abbiamo appena concluso l’edizione 2016-2017 di Milano e Roma diplomando nuovi coach. Tanta emozione nel rivivere ciò che io, Marco e Alessandra abbiamo vissuto tanti anni fa quando noi stessi siamo diventati coach. Rivedere negli occhi dei nostri neo-coach l’entusiasmo, la passione, la voglia di portare un futuro migliore a sè e agli altri ci anima sempre di più.

Si passa un intero anno insieme, si condividono weekend tra slide, esercizi, risate, filmati, pranzi e caffè. Si conoscono nuovi compagni di viaggio, si impara a conoscere meglio se stessi.

Mi sono iscritto alla scuolascrive Iacopo Savi, avvocatocredendo di conoscere il Coaching, per acquisire delle competenze tecniche da spendere con i collaboratori e i clienti.
Ho vissuto la scuola profondamente, ogni momento, ogni esperienza, ogni persona, ogni nozione, ogni emozione (anche quella più banale) è stata un tassello fondamentale.
Oggi sono trasformato nel profondo ed ho la consapevolezza di aver portato a casa molto più di quello che Alessandra, Marco e Mario mi avevano promesso e che mi aspettavo.
La scuola è stata una sveglia al termine della quale è iniziata la nuova giornata della mia vita
”.

 

Il primo semestre del corso è dedicato al self coaching, a se stessi, a conoscersi meglio, ad entrare nelle proprie emozioni e nel proprio mondo, spesso a molti ancora sconosciuto.

Il secondo semestre, invece, è dedicato ad apprendere nuove skills: PNL, comunicazione, public speaking, leadership, gestione dei team, elementi di business e strumenti di managerialità.

12 weekend in formula venerdì-sabato e sabato-domenica alternati diventano un vero percorso di crescita, un viaggio dentro se stessi prima che tra le tecniche del coaching e della PNL.

Il 30 settembre si parte a Milano con la nuova edizione del corso 2017-2018 e il 7 ottobre si accenderanno i riflettori anche per la sede di Roma.

Approfitta del buono sconto entro il 31.07.2017!

Chi vuole fare questo viaggio insieme a noi è il ben accetto, salga a bordo e si parte!

Buona estate a tutti.

Con l’occhio fisso alle stelle misuro le distanze
tra gli uomini e i loro sogni
e quando l’alba desta la speranza
capisco che il volare non è questione di ali ma di impegno
(Da Lettere dal Silenzio)

Mario Alberto Catarozzo

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Benessere e coaching: 5 buone abitudini per un risveglio sano. Parola di coach!

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Il risveglio è un momento delicato per il corpo e per la mente. Siamo stati 7-8 ore sdraiati a letto senza bere e respirando “corti”. Pertanto le prime due cose di cui ha bisogno il nostro organismo sono acqua e ossigeno.

Due abitudini da ricordare

Appena alzati due fondamentali abitudini devono essere idratarsi bevendo acqua a temperatura ambiente, magari con aggiunta di mezzo limone spremuto fresco e respirare a fondo (c.d. respirazione addominale). Per fare ciò, vi consiglio di prepararvi già la sera prima una bella bottiglia di acqua con un bicchiere e vicino il vostro limone da spremere. Le buone abitudini si acquisiscono meglio se ciò che ci serve è a portata di mano e in buona vista, così eviteremo di dimenticarci e…di farci prendere dalla pigrizia.

Per quanto riguarda il respiro, invece, prendete l’abitudine di mettervi davanti alla finestra, meglio se aperta (anche d’inverno) per fare entrare aria fresca e di fare 3-5 cicli di respirazione. Immaginate di avere due cannucce che entrano nei setti nasali e arrivano fino in fondo alla vostra pancia all’altezza dell’ombelico. Inspirate con il naso riempiendo prima la pancia (buttate in fuori l’ombelico) e poi salite riempiendo i polmoni. Trattenete a questo punto il respiro per 3-5 secondi, come se foste in apnea sott’acqua, e poi espirate lentamente con la bocca controllando il flusso di aria che esce. Espirate tutta l’aria dei polmoni fino in fondo e poi ricominciate l’esercizio che deve durare circa 1-2 minuti.

La piramide alimentare

Per quanto riguarda l’alimentazione, ricordiamoci che noi siamo ciò che mangiamo. Il cibo dialoga letteralmente con il nostro organismo e con il sistema immunitario che ogni mattina fa un check della situazione e riparte a pieno regime. Fondamentale quindi è ciò che ingeriamo nella prima ora dal risveglio, dove diamo al nostro organismo un messaggio circa la quantità di cibo che avremo a disposizione durante la giornata e la qualità. Un’ottima abitudine è dunque fare una colazione ricca ma ben bilanciata, per poi mangiare moderatamente a mezzogiorno e poco la sera. È questa la regola dell’alimentazione “a triangolo”, tanto-medio-poco.

Cosa mangiamo e l’ordine con cui lo facciamo è importante

Come primo alimento al mattino è consigliabile partire da frutta fresca colorata di stagione, tipo kiwi, ciliegie, frutti rossi, arance. Meglio se mangiate a morsi, invece che spremute o frullate: l’assorbimento degli zuccheri sarà più lento insieme alle fibre. Ottima abitudine è poi introdurre proteine sane e grassi sani come quelli dei semi: noci, nocciole, mandorle, semi di chia, semi di lino, semi di girasole, semi di zucca. Evitare il latte è un’ottima idea e sostituirlo con latte di mandorla, di riso, di soya è decisamente meglio. Insieme possiamo mettere fiocchi integrali di mais, muesli, e simili. Meglio se tutto biologico e integrale. Dopo un bel caffè ci sta bene, come un centrifugato o un frullato. Ovviamente niente sigarette, niente brioche, né vegane né integrali al miele, tutte stupidaggini.

Ultimo passaggio, ma non per ultimo, è un po’ di esercizio fisico dolce per risvegliare i muscoli fermi tutta la notte. Stretching quindi. Piegamenti sulle gambe, allungamento delle braccia, torsioni del busto, saluto al sole stile yoga e si parte nuovi nuovi.

La costanza premia

Ricordate, come ci insegna il coaching, che per acquisire nuove abitudini non dobbiamo focalizzarci su ciò che non va o non ci piace, ma su ciò che vogliamo di nuovo. Ricordate inoltre che non basta fare una volta, ma bisogna continuare a fare, affinchè un nuovo comportamento o modo di pensare diventi quello abituale. Una vecchia abitudine disfunzionale si supera allenando la nuova abitudine più funzionale.

In 3-4 settimane di allenamento costante vedrete che non potrete più farne a meno e questo modo di risvegliarsi prendendosi cura del proprio corpo e della propria mente diventerà una nuova sana abitudine.

A proposito….non abbiamo parlato di come allenare la mente al risveglio. Beh, lo faremo nella prossima puntata.

A presto!

Mario Alberto Catarozzo

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Poca autostima? Niente paura, le soluzioni ci sono

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Cominciamo con il ringraziare mamma e papà. Già, sono stati loro i nostri primi coach. Sono stati loro nella maggior parte dei casi ad aver coltivato in noi e alimentato la “cultura dell’errore” e il senso di colpa: “perché non hai fatto…”, “mi aspettavo che…”, “guarda tuo fratello…”, “non mi dire che…”, “hai fatto solo il tuo dovere…”. Potremmo continuare a lungo nel novero delle simpatiche frasi che hanno nutrito i nostri primi anni di infanzia e di gioventù, quando l’autostima crea le proprie fondamenta. In quegli anni siamo chiamati a rispondere alla non facile domanda “chi sono” e “quanto valgo”. Hai detto poco???

Cerco di essere come tu mi vuoi

Se siamo stati allenati a pensare sempre a ciò che gli altri si aspettano da noi (aspettative), saremo portati a cercare di non deludere il resto del mondo. Stiamo giocando una partita in cui si può solo perdere, solo non riuscire ad essere come gli altri (spesso non meglio definiti) si aspettano. L’ansia da performance, la paura di sbagliare e di essere sbagliati è sempre lì a fare capolino. Non solo. Se cerchiamo di essere come gli altri vorrebbero, siamo destinati a fare una fatica enorme per avere briciole di risultati e sentirci sempre “precari”.

Guarda l’altro per capire chi sei

L’altra criptonite per Superman nella nostra infanzia è stata la frase “guarda tuo fratello/sorella…”, “guarda la tua amica…”, oppure “io alla tua età facevo…”. Ah, grazie ancora mamma e papà: ora mi sento molto meglio a sapere che sono meno di qualcun altro…

Certo, qualcuno potrebbe dire che questa è stata una tattica per farci reagire, per colpire l’amor proprio in noi e provocare una reazione. Mah, può darsi. Ciò che è certo è che ci ha ferito, che ha lasciato tracce perchè in quel momento della nostra giovane età il messaggio che ci è arrivato è stato “tu non vai bene così…diventa come…l’altro sì che è ok”. Di nuovo l’autostima ringrazia per la delicatezza con cui si è stati trattati.

Continuiamo a trattarci così

Consideriamo che quanto appreso negli anni giovanili tenderemo in linea di massima a ripeterlo da adulti, infliggendo a noi stessi proprio quelle cose che abbiamo odiato subire. L’analisi transazionale spiega bene questi meccanismi del recitare un “copione” per il resto della propria vita nelle relazioni affettive e lavorative. Insomma, se un tempo erano mamma e papà a dirci cose che ci facevano soffrire e ci complicavano la vita…ora lo faccio noi stessi con le nostre mani.

Uscire si può: riprendiamo in mano la nostra autostima

È possibile da adulti superare certe dinamiche? È possibile cambiare il proprio modo di vedere noi stessi? Possiamo coltivare la nostra autostima e donarci maggior benessere? Certo che sì. Ciascuno ha una propria indole e una propria storia personale, per cui i percorsi vanno personalizzati con tempi e modi utili per ciascuno. Detto ciò, conoscere come funzionano in noi certi meccanismi e avere gli strumenti per trasformare un certo modo di pensare che ci rende “minus” con un modo potenziante che alimenta la propria autostima si può e ce lo dobbiamo!

Cercare di essere felici è la prima responsabilità che abbiamo verso noi stessi.

Nel seminario residenziale che si tiene a dicembre a Gressoney, lavoreremo il sabato mattina proprio su questo, sulla nostra autostima per imparare a conoscerla, a capirne i meccanismi e ad alimentarla in modo sano e funzionale al nostro benessere.

Il prossimo appuntamento a Gressoney è il weekend dall’ 1 al 3 dicembre 2017.
Scopri il programma delle 3 giornate e la location sul sito www.puntosudime.it.

Mario Alberto Catarozzo

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Il re è nudo. Ecco perché dobbiamo abbracciare la vita subito

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Temiamo il fallimento, temiamo il giudizio degli altri, temiamo di perdere soldi, di perdere oggetti, di perdere persone. Cosa dimentichiamo in tutto questo? Che il re è nudo, è già nudo. Solo ricordando che un giorno sarà finita, che questo viaggio è a tempo, che è senza ritorno…allora daremo il giusto peso alle cose che accadono.

In PNL (Programmazione Neuro Linguista) questa operazione si chiama reframing (“ricontestualizzare”). Solo quando allarghiamo lo scenario in cui inseriamo gli eventi, questi ci possono apparire per ciò che sono: granelli di sabbia su una spiaggia, gocce di acqua nel mare. Cosa abbiamo da perdere davvero? Nulla. O forse tutto. È la stessa cosa. La morte ci ricorda il valore del tempo. Sapere che un giorno finirà e perderemo tutto, ci può aiutare a dare il giusto peso alle cose e che ogni cosa che viviamo…è una conquista. Nulla è nostro, nulla rimane, nulla è scontato.

Perché?

Perché quindi dovremmo temere il giudizio altrui e limitare la nostra personalità? Perché dovremmo evitare di tentare una impresa per paura del fallimento? Perché dovremmo frenarci di fronte ad un abbraccio che vorremmo dare e non diamo per timore di essere respinti o delusi? Perché dovremmo risparmiarci di fronte ad un sacrificio per ottenere un risultato a cui teniamo? Il re è nudo, è già nudo, ricordiamolo sempre. Non abbiamo niente da perdere, perché nulla è nostro davvero. È una illusione, una dolce, utile, vitale illusione.

Il tempo: l’unico vero valore

Abbiamo una sola chanche, abbiamo poco tempo e nulla è scontato. Noi diamo per scontato che il respirare, l’essere qui ora, l’essere in piedi sia un diritto. Non è così. Nel fascino della vita l’essere qui ora a poter leggere questo articolo non è affatto scontato. Siamo parte di una magia che si chiama vita e il nostro compito è di dare un senso a questo viaggio. Lo state facendo? State investendo la risorsa più preziosa nel modo migliore? Il tempo che passa ci ricorda che non scherza, che è un credito che va ben speso. Siete in vacanza con le persone che amate? State facendo progetti che vi riempiono il cuore? Fate un lavoro che nutre la vostra passione? Passate del tempo in luoghi desiderati? Riuscite a vivere il presente e godervelo come il bene più prezioso? Se sì, allora state realizzando il film più bello, dove siete voi i protagonisti. Se no, allora siete comparse sullo sfondo di una trama che non vi ricomprende.

Nulla è perso

Riprendetevi la centralità della vostra vita. Potete ancora farlo. Se siete qui ora, vuol dire che non è ancora finita, che se volete potete dare la svolta che volete a questo tempo che passa e che chiamiamo vita. Chi ve lo impedisce? Cosa ve lo impedisce? Ve lo dico io: nulla, se non la paura, la pigrizia e la mancanza di chiarezza su ciò che volete davvero. Questi tre ingredienti, insieme, sono un cocktail letale per la nostra felicità. Come spazzarli via in un attimo? Ricordando che è tutta una illusione: le certezze che pensiamo di avere, le ricchezze che pensiamo di avere, la salute che pensiamo di avere. Tutti noi ogni tanto ce lo ricordiamo perché sentiamo di un amico che si è ammalato gravemente o di un altro che è morto all’improvviso. È quello il momento in cui il tempo sembra fermarsi e nel silenzio che si crea ricordarci che nulla è scontato e tutto ciò che possiamo fare è vivere ogni momento.

Allora…

Andate e abbracciate chi amate, fate un sorriso a chi incontrate, leggete qualcosa che vi fa sentire bene, cantate, saltate, esplodete nella vostra vitalità, godete e fate godere chi è intorno a voi proprio ora.

Questo momento non ritornerà più e questa non è un’illusione, è la realtà!

Ricordati di splendere canta Gianna Nannini. Già, ricordati di splendere proprio ora che sei nudo, nudo di fronte al tempo che passa.

Mario Alberto Catarozzo

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Benessere e coaching: perché è così difficile rompere le cattive abitudini

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Quando si parla di allenamento si pensa subito all’allenamento fisico, dimenticando che anche quello mentale è una forma di allenamento. Le abitudini sono proprio l’effetto di azioni e pensieri ripetuti (quindi allenati) che ad un certo punto diventano automatismi.

La ragione per cui ciò accade è legata ad un meccanismo del cervello che si chiama “plasticità neuronale” e indica la caratteristica per cui più esercitiamo (utilizziamo) un circuito neuronale – che è alla base di un pensiero o un comportamento – più tale circuito si rinforza. Di conseguenza l’impulso elettro-chimico, alla base del pensiero, viaggerà sempre più veloce quanto più il circuito sarà stabile e utilizzato. Poiché il nostro cervello utilizza anche un altro principio per funzionare, e cioè il “principio di economia”, ecco che tenderemo ad utilizzare prevalentemente i circuiti più veloci e cioè quelli abitudinari di fronte agli stimoli esterni. Detto in altro modo, è facile entrare in un circolo vizioso ed è difficile uscirne. Alla base, oltre alle motivazioni psicologiche ed emotive (la paura del nuovo, la pigrizia etc.), troviamo soprattutto ragioni neurologiche: più di fronte ad uno stimolo esterno utilizzeremo un modo di pensare o di agire, più questo diventerà abitudinario e più sarà abitudinario più sarà veloce l’automatismo stimolo-risposta e sarà difficile vederlo (esserne consapevoli) e uscirne (fare diversamente).

Dove interviene il coaching

Questo è uno dei compiti del coach: rappresentare un terzo occhio che dall’esterno aiuti l’interessato a vedere cose che ai propri occhi risultano oramai scontate e aiutarlo a diventarne consapevole, per poter elaborare nuovi schemi di azione e di pensiero allenando questi più funzionali, a discapito di quelli disfunzionali.

La consapevolezza è il primo passo del cambiamento intenzionale.

Come avviene il cambiamento?

Cambiare non vuol dire agire su ciò che non va, come molti pensano; bensì agire su ciò che vogliamo che funzioni in alternativa. Detto in altre parole, per introdurre nella nostra vita cambiamenti dobbiamo decidere prima cosa vogliamo ottenere e impegnarci dopo per allenare questo nuovo modo di pensare e di agire, finchè diventerà una nuova abitudine (più funzionale della precedente).

Ricordiamoci, infine, che il cambiamento è una samba: un passo avanti, un passo indietro, un passo a lato. Cambiare non vuol dire non sbagliare più e non ricadere nella vecchia abitudine; non è possibile introdurre cambiamenti improvvisi, repentini e senza errori o ricadute. Ciò che avviene con queste dinamiche si chiama trauma. Il cambiamento è un percorso durante il quale una volta si riesce, una volta si ricade e una volta si riesce a metà, ma tutto all’interno di un trend di crescita, che ad un certo punto produrrà i suoi effetti, come l’acqua sul fuoco che bolle, che fino a 99 gradi sembra non subisca alcun cambiamento per poi all’improvviso cominciare a bollire.

Chiarezza di intenti, costanza e determinazione sono i veri ingredienti del cambiamento.

Mario Alberto Catarozzo

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Come sviluppare empatia verso se stessi per essere più forti

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Ciascuno parte da dov’è, dice la filosofia cinese. Per poter andare in qualunque direzione voluta è necessario prendere atto di dove si è, di chi si è, e da li muovere i primi passi del cammino. Rifiutare un errore, rinnegare una situazione, combattere una propria emozione è una guerra fratricida, con noi stessi. Saper accettare non vuol dire rassegnazione, ma resilienza. Non vuol dire lanciare la spugna, ma prepararsi ad agire. Non vuol dire rimanere fermi, ma preparare le basi da cui spiccare il volo. Dall’accettazione fisica di una nostra caratteristica, chi ci hanno insegnato a chiamare difetto, all’accettazione di un tratto della nostra peculiarità di carattere, che ci hanno detto che si chiama problema.

Siamo quello che siamo. Siamo arrivati dove siamo oggi. Da qui si parte, non ci si ferma, si parte.

“Quando nella vita avrai bisogno di una mano, guarda in fondo al tuo braccio,
lì ne troverai una” (Confucio).
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L’arte di sapersi abbracciare, perdonare e ripartire

È arrivato per tutti noi il momento di abbracciarci, di aver bisogno prima di tutto di noi stessi, di rispettarci, di amarci. Fedeli a sé stessi è il motto del coaching e diventare i migliori alleati di sé stessi è l’obiettivo di qualunque percorso di coaching.

Che senso ha combattere sé stessi? Dove ci può portare un atteggiamento simile? A farci male, ad allontanarci dalla prima vera persona che dobbiamo accettare, rispettare e aiutare: noi stessi.

Che importanza ha ieri?

Dunque non importa cosa ho fatto fino a ieri, gli errori commessi, le cose non capite, i comportamenti sbagliati, l’amore perso, le occasioni lasciate andare… Non importa, perché è passato e ciò che oggi resta nella nostra mente sono solo pensieri, solo pensieri, niente di reale, solo pensieri, matrix, una realtà ricostruita su cui non si può fare più nulla.

Invece davanti a noi abbiamo il resto della nostra vita, fatto di possibilità, di scelte ancora da compiere. Davanti a noi abbiamo una prateria di opzioni, un mondo di possibilità da realizzare.

Accettare è un atto emotivo, non razionale.
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Accettare non vuol dire capire, vuol dire prendere con sé con amore, stringere a sé, portare con sé come parte di un tutto. Capire è solo il primo passo, ma non basta. Posso capire tutto, ma non lasciar andare. Posso capire, ma non comprendere (prendere con sé).

La forza delle emozioni

Le emozioni sono parte di noi, qualunque esse siano. Se le prendiamo con noi troviamo in esse forza; se le combattiamo ci riduciamo, di depotenziamo.

Fate allora attenzione a non usare solo la mente, la parte razionale, cognitiva, per gestire le emozioni. È come usare una chiave inglese per cercare di avvitare una vite. Lo strumento giusto con le emozioni è l’empatia con noi stessi, emozione con emozione. Allargate le braccia e abbracciatevi, nella vostra interezza, il bello e il brutto, cose che vi piacciono e cose che non vi piacciono di voi. Inglobando tutto potete ritrovare la vostra integrità e da lì partire a costruire il voi che vi piace pensare sarete domani. Lasciate andare, come nuvole in un cielo azzurro. Invece di trattenere rifiutando, lasciate andare accettando. Imparate a respirare, ad inspirare profondamente ed espirando lasciar andare, buttar fuori e semplicemente stare con voi lì dove siete. Punto.

L’autostima ringrazia e la pancia pure.

Vi abbraccio forte, fatelo anche voi.

Seminario a Gressoney, 1, 2, 3 dicembre 2017

Partecipa al seminario di Gressoney su Gestione delle emozioni, Autostima, Carisma, Leadership. 1, 2, 3 dicembre 2017, 3 giorni fantastici, in un posto da sogno per prendersi cura di sé e ripartire dal proprio cuore e dalla propria mente per prendersi cura di sè. Per saperne di più vai su www.puntosudime.it, vi aspetto in aula!

Mario Alberto Catarozzo

 

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Dal trapasso al passaggio generazionale

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Di passaggio generazionale negli studi professionali si può parlare solo da poco. Fino ad oggi, infatti, ciò che avveniva era un trapasso generazionale, più che un passaggio di testimone. Il genitore avvocato, commercialista, notaio o consulente del lavoro, terminata la propria carriera professionale “attiva”, era solito rimanere in ufficio e condurre, nonostante pensionato, l’attività di sempre. Per molti quella era stata l’unica vita conosciuta, per cui non avrebbero saputo cosa altro fare; per altri, l’uscita dalla società che produce era qualcosa di impensabile dopo una vita attiva; per altri ancora, restare in pista era un dovere morale per accompagnare i figli fino alla loro completa autonomia (che non arriverà mai, agli occhi dei genitori).

Mettetela come volete, la sostanza non cambia: i professionisti di un tempo restavano in studio fino all’ultimo e ben poco veniva stabilito in termini di passaggio generazionale. Più che altro veniva fatto testamento morale, in attesa, appunto, del trapasso generazionale.

Quante difficoltà per padri e figli

Le difficoltà sono ben note a chi le ha vissute in prima persona, in quanto figlio d’arte, o per chi le ha subite come collaboratore che ha assistito al trapasso in studio, con l’inevitabile mix di ragioni personali e professionali a scandire le giornate.

I genitori invece di godersi la meritata pensione al caldo tropicale sorseggiando una Tequila hanno continuato il tran tran quotidiano di sempre, spinti da dovere morale, necessità economiche, esigenze di star lontani da casa e dalla moglie/marito rompiscatole. Spesso i genitori hanno rappresentato a quel punto più un problema che una risorsa con il loro “si è sempre fatto così”, mentre altre volte hanno rallentato i processi di innovazione e cambiamento, ponendosi come barriera al nuovo.

I figli hanno hanno goduto in un primo momento della “pappa pronta”, della “strada aperta”, del “nome avviato”, per poi dover pagare con gli interessi tutto questo in termini di mancanza di autonomia, di confronto costante agli occhi di colleghi, clienti e collaboratori e di possibilità di rinnovamento dell’organizzazione.

Il futuro vedrà passaggi generazionali

Oggi la situazione sembra che stia pian piano cambiando. Anche i professionisti più attaccati al proprio lavoro capiscono ben poco  del mercato professionale e hanno sempre meno voglia di confrontarsi con la normativa folle, che cambia ogni due per tre, e con le nuove prospettive della professione sul web. Chi pensava di poter andare in studio con leggerezza perché in parte fuori gioco dopo la pensione, oggi non vede l’ora di lasciare il timone e dedicarsi a ben altro per il tempo che resta.

Per fare questo è necessario impostare il passaggio di testimone con lungimiranza e con tempestività, così come avviene (non sempre) nelle aziende più attente. Cosa serve? Programmazione, definizione degli obiettivi, definizione dei ruoli, procedure, comunicazione efficace. Prima ancora, ciò che serve è la mentalità di entrambi – padri e figli –  e il tempo da dedicare a questo momento importante nella vita di uno studio multigenerazionale. Ciò che rilevo nella mia attività di coach e consulente su queste tematiche è che ancora pochi considerano questo argomento importante al punto da dedicarvi tempo e cura come merita.

Cari genitori, godetevi quindi il vostro meritato mare tropicale e lasciate con fiducia i figli prendere il timone, ma soprattutto fatelo dopo aver pianificato con loro il ponte che porterà lo studio verso il futuro, dove i vostri sacrifici fungeranno da trampolino e non da ancora al cambiamento.

Mario Alberto Catarozzo

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Sul palco del TED: vi racconto l’esperienza

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Ogni professione ha il suo palco d’oro, la situazione che tutti vorrebbero prima o poi trovarsi a vivere. Per un formatore questo palco è rappresentato dal TED, lo scenario mondiale dove sono chiamati ad esporre le proprie idee e scoperte speaker di tutte le aree dello scibile umano: dalla medicina alla politica, dal marketing alla filosofia, dalla scienza alla tecnologia. Essere chiamati a parlare al TED è davvero un onore. Anche per chi fa della formazione un mestiere ed è abituato a parlare davanti a grandi platee, parlare al TED è un’emozione forte. Il TED è una sorta di Oscar per uno speaker. Questo è quanto ho vissuto il 22 febbraio sul palco del TEDxModena, svoltosi quest’anno a Carpi, dove ho portato il tema del valore del Capitale Umano e della sua bellezza proprio nell’epoca dei robot e dell’intelligenza artificiale.

 

Il TED è un’organizzazione no profit che ha come scopo diffondere idee di valore che possono cambiare il mondo. Il marchio, con sede a New York, ha visto la luce 25 anni fa e si è presto diffuso in tutto il mondo. I migliori pensatori e innovatori sono chiamati a parlare su questo palco rigorosamente gratuitamente con un format prestabilito per un massimo di 18 minuti di intervento. La conferenza annuale si svolge in California e il TED Global ogni anno ad Oxford. Nomi come Bill Gates, Bill Clinton, Richard Branson, Al Gore e moltissimi altri hanno calcato questa scena. TEDx è la versione locale del TED mondiale, che permette sotto l’autorizzazione della casa madre di organizzare eventi TED localmente nel mondo rispettandone lo spirito e le rigide regole qualitative e di valore.

Il tema del TEDxModena del 22 febbraio 2018 è stato l’essere umano come principale risorsa di qualsiasi realtà economica e la possibilità di costruire un’economia sostenibile incentrata sul capitale umano e culturale. Il mio talk ha riguardato Il valore del capitale umano nelle organizzazioni: emozioni, intuito, creatività.

Penso che in futuro il Capitale Umano sarà rivalutato e questo proprio per la diffusione dei robot e dell’intelligenza artificiale. Ma cosa intendiamo per Capitale Umano? Non solo l’insieme delle competenze, conoscenze e abilità dell’individuo, ma anche l’insieme delle competenze emotive e relazionali.

I robot possono curare, ma non prendersi cura. I robot non possono avere passione, grinta, determinazione, desideri, ambizioni. I robot non possono immaginare, sognare, fantasticare. non possono fare team, creare clima, condividere emozioni. No possono avere la creatività  che parte dai sogni, non possono avere l’intuizione che parte dall’introspezione.

Tutto questo è appannaggio dell’essere umano e solo dell’essere umano. Ai robot lasciamo le performance, la velocità, l’instancabilità, la replicabilità, la perfezione.

Per questo sono ottimista sul futuro, perché in un mondo che vedrà sempre più virtualità, digitalità, velocità, ci sarà bisogno di umanità, calore e relazione; ci sarà bisogno nelle organizzazioni del Capitale Umano.

Mario Alberto Catarozzo

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Una dote fantastica? La resilienza. Eccola a voi

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Che cos’è la resilienza? Si trovano tante definizioni in merito: “la capacità di rialzarsi“; “la capacità di resistere ai colpi“; “la capacità di non arrendersi mai“. A seconda degli ambiti il termine resilienza assume connotazioni diverse: capacità di adattarsi, di resistere alle pressioni, di autoripararsi.

Noi oggi vogliamo parlare di resilienza dal punto di vista del coaching: la resilienza è la capacità di essere felici “nonostante” tutto. La parola chiave che dovete memorizzare è NONOSTANTE.

Possiamo essere soddisfatti “nonostante” abbiamo commesso degli errori. Possiamo essere presenti a noi stessi “nonostante” abbiamo delle preoccupazioni. Possiamo “continuare a provarci “nonostante” abbiamo fallito in precedenza. Possiamo avere stima di noi “nonostante” non ci siamo piaciuti in una circostanza.

“Nonostante” è la parola magica che ci riporta qui nel presente e ci ricorda che la vita è solo adesso, il resto sono solo pensieri, matrix. Chi aspetta la pensione per riposare; chi dice sarò soddisfatto quando avrò raggiunto…; chi pensa che non appena avrà…allora… Ecco tutte queste persone si stanno prendendo in giro. Ciascuno di loro procrastina in attesa di qualcosa, perdendo l’unica realtà che hanno sotto i piedi: che ora, proprio ora sono qui vivo e dovrei ricordarmi di essere felice innanzitutto per questo, tutto il resto viene dopo.

Ricordate a voi stessi quando vi svegliate al mattino di farvi un sorriso “nonostante”, di regalarvi della musica “nonostante, di farvi una coccola emotiva “nonostante”. Solo così saprete cosa vuol dire coltivare la dote della resilienza che ci aiuterà ad essere felici in ogni momento “nonostante” tutto, perchè non è scontato.

Se guardate la storia troverete che i più grandi uomini di tutte le arti, dalla politica alla scienza, dalla religione alla poesia, hanno coltivato la resilienza per diventare più forti, più saggi e poter donare al mondo la loro grandezza qui e ora, senza aspettare le condizioni giuste, bensì creandole le condizioni giuste.

Stephen Hawking è stato uno di questi grandi uomini.

Mario Alberto Catarozzo

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